Via al Lavatoio

Il Lavatoio di Capronno

Sito n.46 del Museo Diffuso

(Inizio XX secolo)

Il lavatoio ricorda le immani fatiche delle donne che fino agli anni ’60 del Novecento, lavavano i panni ai fiumi o ai lavatoi; in inverno, rompendo il ghiaccio, in estate con la scarsa acqua disponibile.

La struttura del lavatoio è a pianta rettangolare in mattoni, misura m 6,82 x 5,91, ed è aperta su tre lati. Il piano è ribassato, accessibile tramite una gradinata, il tetto è spiovente in tegole, sorretto da una capriata in legno. La vasca è una ma è divisa in due parti, è rettangolare e misura m 2,07 x 5,47. L’acqua viene erogata tramite un tubo metallico.

Non vi sono ricordi precisi in merito al giorno dell’inaugurazione del Lavatoio di Capronno, frazione di Angera, ma la memoria locale è in grado di raccontare e descrivere la vita che gli girava attorno.  Sappiamo che nel 1929 era già in funzione: Giuseppina Forni narra infatti che sua mamma, nel Gennaio 1929, in occasione della nascita della sorella, si recò a lavare i panni alla “fontana”, così le donne hanno sempre chiamato il lavatoio, e faceva tanto freddo che aveva dovuto rompere il ghiaccio. Il lavatoio è alimentato con l’acqua dell’acquedotto comunale è quindi probabile che sia stato realizzato nello stesso periodo in cui fu completato l’acquedotto, forse all’epoca della cessazione del Comune di Capronno, che nel 1927 divenne frazione di Angera.

La fontana è stata utilizzata almeno fino agli anni ’60 del Novecento, soprattutto dalle donne di Capronno: madri, nonne e figlie raggiungevano il lavatoio con la carriola carica dei panni da lavare e qui si raccontavano la vita quotidiana e talvolta intonavano canti popolari.  Le donne di Barzola lavavano solitamente i panni presso il ponte del torrente Vepra usando la brela, ma anche loro si recavano talvolta alla fontana di Capronno.

La brela era l’attrezzo di legno che le lavandaie usavano presso fiumi, torrenti e navigli: da un lato c’era l’asse per fregare i panni, dall’altro un piccolo ‘gradino’ su cui inginocchiarsi e dove, spesso, mettevano una sorta di cuscino per proteggere, alla meno peggio, le ginocchia. Nei lavatoi la brela era solitamente sostituita dal piano inclinato in muratura.

Il brelin si usava invece quando si lavava nei fontanili, dove di solito erano posizionate delle piode inclinate a livello del suolo, ed era composto solo dall’inginocchiatoio.

Nella memoria locale il lavatoio di Capronno era spesso affollato, soprattutto al Lunedì mattina, tanto che le mamme mandavano i bambini a vedere se c’era posto per lavare. L’acqua scorreva sempre tranne in estate, quando scarseggiava, e onde evitare sprechi, si apriva solo alla bisogna. In Inverno le donne portavano da casa anche un secchio di acqua calda per riscaldarsi un poco le mani. Il lavatoio veniva spesso svuotato e ripulito per aver sempre acqua limpida da utilizzare.

La struttura è composta da due vasche: la più grande serviva per il lavaggio e l’altra per il risciacquo. Il bucato dei panni bianchi veniva fatto a casa nel mastello di legno e si andava poi alla fontana per il risciacquo. Chi abitava vicino utilizzava la fontana anche per lavarsi dopo le lunghe fatiche del giorno e dopo il lavoro nei campi, ma questa pratica non era ben vista. Le attenzioni per l’igiene erano infatti molte e quando moriva qualcuno, ad esempio, le lenzuola e i panni che erano venuti a contatto con il defunto, venivano lavati nel torrente Vepra e non alla fontana.

Una scritta su un pilastro ricorda la data del restauro della copertura, avvenuto il 2 Giugno del 1998.

Il testo è stato redatto grazie alla collaborazione di Valerio Pizzinato. 

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